Divieto di conferimento incarichi professionali a soggetti collocati in quiescenza

La Corte dei conti, Sez. Sardegna, con deliberazione n. 90/2020, a seguito di richiesta di parere in merito al divieto di conferimento di incarichi di studio e consulenza a soggetti in quiescenza, ha ribadito che, ai sensi dell’art. 5, comma 9 del D.L. n. 95/2012 e smi, tutti coloro i quali abbiano svolto un’attività lavorativa, tanto nel settore pubblico quanto in quello privato (quindi sia i lavoratori dipendenti privati che i lavoratori autonomi), qualora collocati in quiescenza, non possono essere destinatari degli incarichi di studio, di consulenza, dirigenziali, direttivi o di cariche in organi di governo da parte  delle amministrazioni, negli enti e nelle società interamente partecipate.
I giudici contabili, nel ricostruire il quadro normativo e giurisprudenziale, hanno ricordato che il raggio di operatività del divieto risiede nella scelta legislativa di conseguire un duplice obiettivo: favorire il ricambio generazionale nella pubblica amministrazione e, più in generale, supportare l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani nonché conseguire risparmi di spesa, evitando di corrispondere la retribuzione a un soggetto che già gode del trattamento di quiescenza.
La disposizione di cui al comma 9 dell’art. 25, nella versione originaria, aveva una portata più circoscritta rispetto alla formulazione attualmente vigente. In particolare, sul piano soggettivo, la definizione dei soggetti sottoposti al divieto abbracciava unicamente i dipendenti pubblici in quiescenza che avessero svolto nell’ultimo anno di servizio attività analoghe a quelle oggetto di incarico e, sul piano oggettivo, la tipologia di attività vietata era limitata a quella di studio e di consulenza. Con la modifica introdotta dall’art. 6 del D.L. n. 90/2014 come modificato, in sede di conversione, dalla L. n. 114/2014, l’ambito del divieto de quo viene esteso arrivando ad abbracciare, sul fronte soggettivo, tutti i “soggetti già lavoratori privati (dipendenti o autonomi) o pubblici collocati in quiescenza” e giungendo a comprendere, sul fronte oggettivo, anche gli “incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo”. Inoltre, la latitudine applicativa della norma viene espansa con riferimento agli incarichi de quibus in “enti e società” controllati dalle amministrazioni di cui al primo periodo dell’articolo in commento, salvo le eccezioni ivi indicate. Il Collegio, inoltre, adendo alle conclusioni in tal senso raggiunte anche in seno ad altre Sezioni della Corte, reputa di non poter seguire la diversa opzione ermeneutica prospettata dal Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione – Dipartimento della funzione pubblica nelle circolari interpretative n. 6/2014 del 04.12.2014 e n. 4/2015 del 10.11.2015 (che, per inciso, non costituisco fonti del diritto) laddove si circoscrive l’ambito applicativo della norma in discorso a “qualsiasi lavoratore dipendente collocato in quiescenza” (circolare n. 6/2014) ed “esclusivamente i lavoratori dipendenti e non quelli autonomi” (circolare n. 4/2015).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Diritti edificatori “in volo”: l’area non è fabbricabile

Con i diritti edificatori “in volo” non si ravvisano i presupposti richiesti dalla normativa Tasi per l’applicazione dell’imposta sul suolo di “decollo” privato di potenzialità edificatoria. Questo l’orientamento espresso dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma che, con la sentenza 5742/21/2020, ha accolto il ricorso di un contribuente avverso avviso di accertamento Tasi emesso dal Comune su area divenuta inedificabile in virtù della pianificazione urbanistica regionale e in attesa di individuazione e assegnazione delle aree c.d. “di atterraggio” dei diritti edificatori.
Secondo la CTP di Roma, nel caso di specie, non sono ravvisabili né il presupposto oggettivo, costituito dal possesso di un’area fabbricabile anche solo in via potenziale, né il presupposto soggettivo, ossia la proprietà o la titolarità di altro diritto reale su un’area fabbricabile.
Ricordiamo che la definizione di area fabbricabile ai fini Tasi è la medesima ai fini IMU e la portata del tema ha effetto ben più ampio.
La stessa CTP di Roma, nella propria trattazione, ricorda che la Corte di Cassazione con l’ordinanza 26016/2019 ha rimesso alle Sezioni Unite la verifica della sussistenza o meno, ai fini della tassazione Ici, del presupposto della potenzialità edificatoria dei fondi sottoposti a compensazione urbanistica, tenuto conto delle diverse fasi che caratterizzano tale procedura (decollo, volo ed atterraggio). In particolare, la Corte sottolinea l’evidenza del “problema” nella fase in cui il diritto edificatorio è in “volo” in considerazione dei seguenti aspetti:
1) risulta totalmente soppressa l’edificabilità sull’area, di proprietà del contribuente, precedentemente avente vocazione edilizia;
2) il diritto all’indennizzo conseguente al depauperamento dell’area è postergato, a fronte di una mera promessa di compensazione in natura;
3) è aperta una fase, di durata incerta e spesso anche decennale o più, caratterizzata da un potere ampiamente discrezionale della P.A., volta ad individuare la specifica area di “atterraggio” del diritto;
4) il riconoscimento di un diritto edificatorio su una nuova area potrà avvenire solo all’esito del procedimento compensatorio.

Al momento, dunque, la conclusione condivisa da Cassazione e CTP di Roma è che durante la fase di “volo” dei diritti edificatori non può definirsi edificabile né il suolo di decollo (in quanto privo di tale potenzialità) né quello di atterraggio, in quanto non ancora identificato.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Sulla scelta della P.A. di recedere “in autotutela” da un contratto decide il giudice ordinario

Appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie riguardanti qualsiasi atto (comunque denominato: annullamento, revoca, ritiro, recesso, dichiarazione di nullità contrattuale) col quale l’Amministrazione si ritiri da un contratto già stipulato (nel caso di specie, una transazione), atteso che la sottoscrizione dell’atto negoziale segna il definitivo passaggio dalla fase pubblicistica, in cui l’Amministrazione conserva poteri autoritativi di intervento in autotutela sugli atti prodromici alla stipula, a quella privatistica, durante la quale il potere di autotutela scompare e il ritiro dal contratto si configura, nella sostanza, come un recesso privatistico. È quanto ribadito dal TAR Sicilia, Catania, Sezione II, 9 ottobre 2020, n. 2537.
Per costante orientamento giurisprudenziale, la giurisdizione si determina in base al criterio del c.d. petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 3 aprile 2019, n. 2196; C.d.S., Sez. IV, 5 gennaio 2018, n. 63; Cass., Sez. un., 7 marzo 2003, n. 5508, 17 gennaio 2002, n. 489, 23 febbraio 2001, n. 64). Nel caso di specie, la controversia riguarda, quindi, l’esecuzione di un contratto transattivo, caratterizzata dall’esistenza tra le stesse di un rapporto paritario (incompatibile con l’esercizio di poteri autoritativi da parte del contraente pubblico), rispetto al quale sono ravvisabili solo posizioni di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION