Al via la presentazione delle domande per l’accesso al Fondo Progettazione Opere Prioritarie

È pubblicato il Decreto ministeriale n. 594 del 23 dicembre 2019 che ripartisce le risorse, pari a 30 milioni di euro, reintegrate per l’annualità 2019 e permette l’utilizzo dei residui del triennio 2018-2020 pari a circa 8,864 milioni di euro. Dal 5 giugno 2020 e fino al giorno 4 agosto 2020 le 16 Autorità di Sistema Portuale, le 14 Città Metropolitane e i 37 Comuni capoluogo di Regione  o di P.A. e i Comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti possono presentare la proposta per accedere alle risorse assegnate dal DM 594/2019 e quelli, tra gli stessi Enti beneficiari,  che non abbiano fatto richiesta dal 10 agosto 2019 al 7 novembre 2019 per gli stanziamenti assegnati dal DM 171/2019 possono inviare l’istanza integrata con le risorse aggiuntive.
Il Fondo è destinato a finanziare “la progettazione di fattibilità delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari, nonché la project review delle infrastrutture già finanziate”; le risorse assegnate sono destinate alla redazione di progetti di fattibilità di piani urbani per la mobilità sostenibile, di piani strategici metropolitani, di progetti attuativi degli stessi e di progetti relativi ad opere portuali. È facoltà degli Enti beneficiari che non abbiano presentato l’istanza per accedere alle risorse stanziate con il DM n. 171/2019 per il triennio 2018-2020 entro i termini stabiliti dal DD 8060/2019 o che, in quella presentata, abbiano fatto richiesta solo di parte del finanziamento di inviare la proposta integrata con le risorse aggiuntive di cui al DM 594/2019.
Le risorse assegnate ai beneficiari, pari a euro 30.000.000,00 per l’anno 2019, sono destinate alla progettazione di fattibilità delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, alla project review delle infrastrutture già finanziate ed alla predisposizione dei PUMS e dei PSM ed alla progettazione di  interventi previsti nei precedenti piani e di interventi relativi alle infrastrutture portuali, così come definito nel Decreto Ministeriale  n. 594 del 23 dicembre 2019.
Inoltre sono disponibili, per le stesse finalità, i residui non utilizzati ammontanti a euro 8.863.803,52 relativi alle annualità 2018-2019-2020 già ripartiti come da Allegato 1 al DM 171/2019 tra gli Enti Beneficiari che non ne hanno fatto richiesta a suo tempo.
La disponibilità del Fondo reintegrato con DMT n. 195790 dell’8 ottobre 2019 è pari a euro 29.880.000,00 per l’anno 2019 oltre a euro 8.828.348,30 di residui triennio 2018-2020 al netto dello 0,4% accantonato per le attività di supporto ed Assistenza Tecnica per la gestione dello stesso.
Le risorse reintegrate per l’anno 2019 sono così ripartite:

  • Euro 8.537.000 per le Autorità di sistema portuale;
  • Euro 4.269.000 per le Città metropolitane;
  • Euro 8.537.000 per i Comuni capoluogo di Città Metropolitane;
  • Euro 8.537.000 per i Comuni capoluogo di Regione o di Provincia autonoma e i Comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti.

L’accesso al finanziamento avviene mediante l’invio della proposta all’indirizzo PEC: fondoprog.iip@pec.mit.gov.it e per conoscenza all’indirizzo PEC: fondomit.opereprioritarie@pec.cdp.it a partire dal giorno 05/06/2020 e fino al giorno 04/08/2020 (sessantesimo giorno dalla data successiva alla pubblicazione del presente decreto).
Le proposte DEVONO essere presentate utilizzando gli allegati messi a disposizione sul sito del MIT e secondo le modalità indicate dal DM 594/2019 e dal DD 8060/2019. Per la data/ora di presentazione telematica della proposta fa fede quella di invio da parte dell’Ente beneficiario.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

La liquidazione degli incentivi tecnici

Il diritto a percepire l’incentivo per la progettazione, di natura retributiva sorge alle condizioni previste normativa vigente ratione temporis, in conseguenza della prestazione dell’attività incentivata e nei limiti fissati dalla contrattazione decentrata e dal regolamento adottato dall’amministrazione. L’omesso avvio della procedura di liquidazione o il mancato completamento della stessa non impedisce l’azione di adempimento, che può essere proposta dal dipendente una volta spirati i termini previsti dalla fonte regolamentare. Pertanto, stabilite le regole per la remunerazione delle attività espletate dai dipendenti per la ripartizione degli incentivi tecnici, in modo conforme ai criteri stabiliti dalla contrattazione decentrata poi confluiti nel regolamento formalmente approvato dall’ente, eventuali ritardi per il completamento delle opere pubbliche non possono influire sui compensi maturati, potendo in questo caso i dipendenti rivolgersi al giudice ordinario per chiedere soddisfazione del salario accessorio non ricevuto, trattandosi di far valere un loro diritto soggettivo, stante la natura retributiva dei citati incentivi. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. Lav., con sentenza 28 maggio 2020, n. 10222.
In merito alla natura dell’emolumento ed ai presupposti condizionanti l’insorgenza del diritto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è consolidata nell’affermare che l’incentivo ha carattere retributivo ma, poiché il legislatore ha rimesso, dapprima alla contrattazione collettiva decentrata e successivamente alla potestà regolamentare attribuita alle amministrazioni, la determinazione delle modalità di ripartizione del fondo, la nascita del diritto è condizionata, non dalla sola prestazione dell’attività incentivata, bensì anche dall’adozione del regolamento, in assenza del quale il dipendente può fare valere solo un’azione risarcitoria per inottemperanza agli obblighi che il legislatore ha posto a carico delle amministrazioni appaltanti ( Cass. n. 13937/2017, Cass. n. 3779/2012, Cass. n. 13384/2004).
Sulla base della disciplina dettata dagli artt. 1183 e seguenti cod. civ., il credito diviene esigibile nel momento in cui sia spirato il termine concesso al debitore per il pagamento, sicché il datore di lavoro pubblico non può certo opporre al prestatore la mancata conclusione del procedimento interno necessario per la liquidazione della spesa, al fine di sottrarsi all’adempimento di un’obbligazione di carattere retributivo, allorquando gli atti da adottare non siano costitutivi del diritto ma svolgano una funzione meramente ricognitiva, in quanto finalizzati ad accertare che la prestazione sia stata resa nei termini indicati dalla fonte attributiva del diritto stesso.
Il principio secondo cui nei confronti delle amministrazioni pubbliche l’esigibilità del credito si realizza solo con l’emissione del mandato di pagamento, è stato affermato dalla Corte di Cassazione solo per escludere che il creditore possa pretendere prima di detta data interessi corrispettivi, ma da detto principio, comunque inapplicabile ai crediti derivanti dal rapporto di lavoro per i quali vale la disciplina dettata dall’art. 22 della legge n. 724/1994 (cfr. Cass. n. 9134/1995 e già prima Cass. S.U. n. 9202/1990), non si può certo trarre la conseguenza che in assenza della conclusione del procedimento di liquidazione sarebbe impedito al creditore di agire in giudizio per far valere l’inadempimento dell’amministrazione rispetto ad un’obbligazione già scaduta. Le disposizioni normative e regolamentari vanno, infatti, interpretate alla luce dei principi affermati dalla Corte Costituzionale in tema di accesso alla tutela giurisdizionale e, quindi, considerando che da tempo il giudice delle leggi ha evidenziato che «gli artt. 24 e 113 Cost. non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, la quale, ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia, può essere differita ad un momento successivo, sempre che sia osservato il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa, ovvero di non differirla irrazionalmente, lasciandone privo l’interessato per un periodo di tempo incongruo» (Corte Cost. n. 154/1992).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Si allo scavalco condiviso anche per gli enti che approvano in ritardo i documenti di bilancio

Con deliberazione n. 10/2020 del 29/05/2020, la Corte dei conti, Sezione Autonomie –  chiamata a pronunciarsi su una questione di massima sollevata dalla Sezione di controllo per la Regione siciliana in merito alla riconducibilità, o meno, nell’ambito delle assunzioni vietate dall’art. 9, comma 1-quinquies, del d.l. n. 113/2016, della peculiare fattispecie di utilizzo a tempo parziale, e nei limiti dell’orario d’obbligo, del personale dipendente di altra amministrazione, secondo il modulo organizzativo introdotto dal CCNL del 22 gennaio 2004 (art. 14), attualmente, disciplinato dall’art. 1, comma 124, della legge n. 145/2018 – ha enunciato il principio di diritto per il quale il divieto contenuto nell’art. 9, comma 1-quinquies, del decreto legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, non si applica all’istituto dello “scavalco condiviso” disciplinato dall’art. 14 del CCNL del comparto Regioni – Enti locali del 22 gennaio 2004 e dall’art. 1, comma 124, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, anche nel caso comporti oneri finanziari a carico dell’ente utilizzatore.

Secondo i giudici “la ratio di quest’ultimo istituto è quella di soddisfare la migliore realizzazione dei servizi istituzionali e di conseguire una economica gestione delle risorse. L’art. 1, comma 124, della legge n. 145/2018 dispone, infatti, che, a tali fini “gli enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri enti, cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto funzioni locali, per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo, mediante convenzione e previo assenso dell’ente di appartenenza. La convenzione definisce, tra l’altro, il tempo di lavoro in assegnazione, nel rispetto del vincolo dell’orario settimanale d’obbligo, la ripartizione degli oneri finanziari e tutti gli altri aspetti utili per regolare il corretto utilizzo del lavoratore. Si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 14 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto delle regioni e delle autonomie locali del 22 gennaio 2004”. E’ stato, condivisibilmente, affermato (cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n.414/2013/PAR) che nella fattispecie di avvalimento parziale del dipendente in servizio presso un altro ente non si è al cospetto di una prestazione lavorativa totalmente trasferita, come nell’ipotesi del “comando” (fattispecie esaminata, in concreto, nella deliberazione n. 103/2017/PAR della Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo), ma di fronte ad una più duttile utilizzazione convenzionale. Ed invero, il legislatore prescrive che, in sede di convenzione, debba essere definito “il quomodo di ripartizione del carico finanziario, in estrema ipotesi anche insussistente ex latere accipientis”. Nello “scavalco condiviso”, infatti, il lavoratore mantiene il rapporto d’impiego con l’amministrazione originaria, rivolgendo solo parzialmente le proprie prestazioni in favore di un altro ente, nell’ambito dell’unico rapporto alle dipendenze del soggetto pubblico principale. Pertanto, quand’anche la convenzione sottoscritta fra le amministrazioni preveda una ripartizione del carico finanziario della spesa complessiva, già in essere per il dipendente, attribuendone una quota parte in capo all’ente utilizzatore, la fattispecie in esame non può mai integrare la costituzione di un nuovo rapporto di impiego per la mancanza di un vincolo contrattuale diretto tra l’ente che si avvale delle prestazioni “a scavalco” ed il lavoratore, trattandosi di un modulo organizzativo di condivisione del personale fra amministrazioni pubbliche. Mancano, dunque, nella peculiare fattispecie all’esame, i presupposti ritenuti essenziali ed ineludibili dal Legislatore per l’operatività del divieto previsto dall’art. 9, comma 1-quinquies, del d.l n. 113/2016, né la norma può essere applicata dall’interprete in via analogica a casi non espressamente previsti dalla disposizione. In particolare, non appare consentita un’interpretazione “additiva” che introduca ulteriori limitazioni all’autonomia organizzativa degli enti territoriali con riguardo ad un istituto, quale quello dello “scavalco condiviso”, che presenta un’ontologica diversità strutturale rispetto alla fattispecie di “assunzioni” colpite dal divieto. Si osserva che la finalità ordinamentale dell’istituto, ben delineata dall’art. 1, comma 124, della l. n. 145/2018, unitamente alla stessa temporaneità dell’utilizzo congiunto del personale, conducono ad escludere che il ricorso a tale modulo organizzativo possa 10 costituire una elusione al divieto di assunzioni. Ipotesi, questa, che la disposizione di cui all’art. 9 citato riferisce al solo caso dei contratti di servizio con soggetti privati. Da ultimo, va rilevato come l’indirizzo espresso si ponga in linea di continuità con l’interpretazione enunciata da questa Sezione nella precedente deliberazione n. 23/SEZAUT/2016/QMIG (resa con riferimento alla diversa disciplina vincolistica di cui all’art. 9, comma 28, d.l. n. 78/2010), in cui si è affermato che l’istituto previsto dall’art. 14 del CCNL del 22 gennaio 2004 individua una modalità di utilizzo del dipendente pubblico da parte di più enti, per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo, senza che si possa configurare un autonomo rapporto di lavoro a tempo parziale, o un’assunzione. La soluzione ermeneutica appena illustrata non esime, tuttavia, dal mettere in luce come il ricorso al ricordato strumento organizzativo – di per sé legittimo ed ammissibile – debba avvenire in modo coerente con la relativa funzione ordinamentale, nel rispetto della concreta necessità di assicurare il regolare svolgimento di un servizio per l’effettivo fabbisogno dell’Ente e nell’ambito dei limiti di legge”.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION